innovazione è cambiamento che genera progresso umano

lunedì 6 luglio 2015

La Notte prima degli Esami di MARTINA E.: le forze dell'ordine tra Guerra & Pace



Nella storia dell’ umanità la questione della sicurezza è sempre stata al vertice delle problematiche di uno stato. Negli anni, o meglio, nei secoli, si è cercato il miglior modo possibile affinché l’ umanità passasse dal vivere secondo “lo stato di natura”, su cui hanno postulato filosofi tra cui Hobbes, ad un “vivere civile”, regolato da norme che potessero evitare i conflitti assicurando in questo modo la pace. Lo stato di natura è, secondo Hobbes, quell’ ipotetica condizione in cui gli uomini non sono ancora associati tra loro e quindi disciplinati da un apparato governativo e dalle relative leggi e ridotti, quindi a vivere in uno stato di continua lotta.

Con il passare del tempo, si è poi pensato di fondare forze armate o di polizia che fossero espressione delle istituzioni e che potessero garantire sicurezza e stabilità ai cittadini. Tra queste, in Italia, vi è l’Arma dei Carabinieri; un corpo armato nato nel 1814. Ha partecipato a diversi conflitti bellici compreso le due guerre più dure mai avvenute prima di allora, sia per il numero di morti, sia per l’utilizzo di armi altamente distruttive, tra cui la bomba atomica.
Durante il II Conflitto Mondiale, infatti, in particolar modo in Germania e negli Stati Uniti, ci si dedicò molto alle ricerche scientifiche per rendere possibile la costruzione della bomba atomica. Essa fu costruita e utilizzata dagli Stati Uniti che ne lanciarono due sulle città di Hiroshima e Nagasaki alla fine della II Guerra Mondiale demolendole distruggendole.
In Italia, poi, si aggiunge, nella seconda metà del ‘900, anche il fenomeno mafioso che diviene ben presto uno dei principali problemi da combattere, oltre che spunto di riflessione per molti intellettuali che decidono di trattare tale fenomeno nelle proprie opere per far sì che i cittadini si rendano conto dell’esistenza della malavita organizzata e della sua pericolosità.
Tra questi intellettuali vi è Leonardo Sciascia, scrittore siciliano che nella sua opera “Il giorno della civetta” denuncia l’omertà delle persone di fronte alla mafia ed invita a non abbassare la guardia perché la mafia può essere combattuta e sconfitta.
Ma anche l’ Inghilterra non è immune da atti criminali, perciò, durante l’Età Vittoriana si decide di istituire un corpo di polizia, i Bobbies, che potessero sorvegliare le strade e ridurre i crimini che spaventavano le persone che vivevano nelle grandi città.

Ben diverso è il discorso per quanto riguarda la Spagna e la Francia dove le forze armate erano ritenute crudeli e responsabili della morte di persone innocenti. La Francia, infatti, nel XX secolo fu impegnata nelle guerra coloniali, ricordiamo la Guerra d’ Algeria, durante le quali intere popolazioni subirono ingiuste torture o repressioni. I corpi armati francesi mantenevano queste popolazioni nella miseria e nell’ ignoranza con la forza. Molti intellettuali di questo periodo decisero di scrivere a favore dell’ indipendenza di questi paesi, tra di essi Jean-Paul Sartre.

La Spagna, invece, nel XX secolo vide il susseguirsi di due dittature: quella del generale Primo de Riveras e quella del generale Francisco Franco, durante le quali le popolazioni appartenenti ad etnie differenti, e possibili oppositori erano duramente repressi dalla Guardia civile; Federico Garcia Lorca, uno dei più importanti autori della letteratura spagnola, egli stesso fucilato durante la dittatura del generale Franco, scrisse “El Romancero Gitano”, di cui fa parte el “Romancero de la Guardia Civil”, che tratta della dura lotta tra i gitani e la Guardia Civile.

domenica 5 luglio 2015

La Notte prima degli Esami di CRISTINA: Ascolta il Silenzio

"Il silenzio è un dono universale che pochi sanno apprezzare. Forse perché non può essere comprato. I ricchi comprano rumore. L’animo umano si diletta nel silenzio della natura, che si rivela solo a chi lo cerca.” Scrive Charlie Chaplin.
Il silenzio non si ferma soltanto alla sua dimensione di fenomeno fisico e quindi di assenza di onde sonore, è anche qualcosa di più profondo e complesso.
Ci sono molti silenzi, tutti diversi fra loro e ciascuno cela il proprio significato, la propria emozione, il proprio segreto; spesso si tace perché si ha paura di parlare, perché si è timidi e riservati, perché si vive una situazione di crisi, perché si vuole celare o non si riesce ad esprimere un dolore troppo intimo e forte, perché ci è impedito o semplicemente perché non si sa cosa dire.
Il silenzio può essere allora il sostituto delle parole, il silenzio è l’idea in sé che si vuole esprimere, è il momento in cui si compone quella melodia di pensieri che verrà poi liberata attraverso la voce; il silenzio è il dialogo muto, è l’espressione di tali pensieri tramite uno sguardo, una smorfia del viso, un picchiettio nervoso delle dita sul tavolo.

Il silenzio è allora la sola cosa che ognuno di noi può fare veramente propria: i pensieri nascosti trovano la loro cassaforte nella mente e il loro codice segreto nelle parole non dette; le falsità e le bugie che ci circondano si sgretolano. Nel silenzio possiamo scappare e ci possiamo rifugiare: esso celerà il nostro essere colpevole, timido, distratto o deluso, nasconderà dolori e gioie, qualora noi saremo dei buoni mimi; celerà i nostri segreti in eterno.
Il silenzio inoltre, è a parer mio il mezzo di comunicazione più efficace e profondo in quanto si serve delle parole più belle…quelle non dette.



C’è un silenzio del cielo prima del temporale,
delle foreste prima che si levi il vento,
del mare calmo della sera,
di quelli che si amano,
della nostra anima,
poi
c’è un silenzio che chiede soltanto di essere ascoltato.

venerdì 3 luglio 2015

La Notte prima degli Esami di LUCA: Il mondo è bello perché è vario!



“Un giorno rimpiangerai la scuola ... tutta quest’ansia ti mancherà ... l’esame di Stato è una bellissima esperienza, vedrai e ti mancherà anche!”



Queste sono le tipiche frasi con cui siamo bombardati negli ultimi giorni. E’ vero, un giorno proverò un fortissimo groppo in gola al sol pensiero di questi giorni. Credo che questo sia dovuto al semplice fatto di aver concluso un percorso, non tanto scolastico -perché le cose da imparare sono tante e di certo non bastano cinque anni di scuola- ma più che altro sociale.

A maggior ragione noi ragazzi del linguistico veniamo spesso a contatto con culture differenti dalla nostra. Per esempio, l’esperienza che ho avuto all’ IMUN è stata di grandissimo aiuto per la mia formazione perché ha contribuito ad abbattere dei preconcetti che mi ero costruito. Inizialmente è chiaro sentirsi disorientati in una dimensione  nuova e diversa, ma la bellezza più grande è essere testimone della costruzione di nuovi spazi e nuove frontiere mentale che, si spera, verranno a loro volta abbattute e ricostruite per fare spazio a tante altre scoperte e considerazioni. 
Molto probabilmente questo è uno degli aspetti più significativi dell'esperienza IMUN, poiché mi ha spinto a pensare in maniera diversa da come ero solito fare. E’ proprio per questo, infatti, che ho scelto di centrare il mio percorso d’esame sulla la visione dell’altro e dell’altrove.

Partendo da quella che è un’introduzione di tipo filosofico sul concetto di globalizzazione, multiculturalismo e conformismo, elementi che in molti considerano il motivo dell’incremento del contatto tra culture diverse, ho voluto poi concentrarmi su quelle che sono le matrici di tipo storico legate alla migrazione, soffermandomi sul concetto di tolleranza, solidarietà, mixofobia e mixofilia. Tuttavia, in questo fermento culturale non bisogna lasciare nell’oblio quelle che sono le proprie radici ed è per questo che mi sono soffermato su questo elemento nell'affrontare alcuni autori della letteratura italiana, come Ungaretti e Pavese, e in lingua spagnola, come Skármeta e Allende. 
Per quando riguarda la cultura inglese, di chi avrei potuto parlare se non del celebre E.M. Forster e del suo “Passage to India”? 
Lo scontro tra due culture, infine, è una conseguenza inevitabile quando si tratta di globalizzazione ed è per questo che in francese ho analizzato il concetto di Xenofobia attraverso la produzione del poeta senegalese Léopold Sédar Senghor. 

Spesso e volentieri, a causa di problemi di tipo economico, politico e sociale, dimentichiamo la bellezza della diversità, la ricchezza che essa porta con sé e di conseguenza innalziamo una barriera per limitare l’accesso al diverso. La cosa più sbagliata da fare è concederlo a coloro che col tempo da diverso verranno ridotti al “noi”. Il mondo è bello perché è vario!

La Notte prima degli esami di STEFANO: Italia chiamò ... e nessuno rispose!



L'Italia chiamò... ma nessuno rispose


L'Italia chiamò ma nessuno rispose
ricordando la gloria
di vittorie valorose
quando fu schiava di Roma

Oh patria mia,
stuprata da mani corrotte,
bastonata dai tuoi figli
ma nessuno se ne fotte!

Perché ancora sento dentro
quel grande sentimento,
che ti unì con tanto amore
prima del Risorgimento.

Io non voglio scappar via,
come hanno fatto in molti
per riscattare la memoria
di tutti quelli che son morti,

combattendo per l'unione
di quel che fu popolo romano,
per il valore di quella nazione
dove scorre sangue italiano.

L'Italia chiamò,
alla ricerca della folta chioma
che continua a domandare...
dov'è la vittoria ?!

giovedì 2 luglio 2015

La Notte prima degli Esami di MARTINA: Crisi e innovazione nella società del primo 900



Per il mio percorso ho deciso di prendere in analisi la prima parte del 900. Questo periodo fu caratterizzato sì dalla crisi ma anche da un susseguirsi di novità in diversi campi.
E' proprio sull'antitesi “crisi-innovazione” che ho deciso di incentrare il lavoro.
Questi due concetti apparentemente scollegati e diversi tra loro, in realtà sono strettamente connessi.
Il primo 900 è infatti stato segnato da conflitti o comunque da numerosi avvenimenti che hanno segnato la vita dell'uomo moderno. In primo luogo, abbiamo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale (1914-1917) e la Guerra Ispano-Americana (1898), che determinano una grave crisi socio-economica, d'altra parte l'affermarsi delle teorie filosofiche di Nietzsche e Freud, che portano l'uomo a vivere una vera e propria crisi interiore. 
Questi avvenimenti hanno un peso rilevante nella vita dell'uomo; la guerra ispano americana ha come conseguenza la nascita di nuova tendenza letteraria in Spagna, la Generazione del 98, che vede tra i suoi principali esponenti Miguel de Unamuno. 
D'altra parte le teorie filosofiche venutesi ad affermare, in particolare quelle di Freud con l'introduzione del concetto d'inconscio, portano l'uomo a compiere un'analisi interiore e favoriscono la nascita del romanzo psicologico i cui principali esponenti sono Luigi Pirandello, in Italia, James Joyce, in Inghilterra, e Marcel Proust, in Francia.

Ad ogni modo le innovazioni di questo periodo non riguardarono solo in campo artistico-letterario ma anche il campo scientifico; è  proprio in questo periodo, infatti, che  il fisico Albert Einstein espose la teoria della relatività.

mercoledì 1 luglio 2015

La Notte prima degli Esami di LAURA: "Distopia tra realtà e fantasia"



L’argomento da cui sono partita per sviluppare il mio percorso è la saga di romanzi distopici intitolata "Divergent".

Perché proprio questo tema? Perché a seguito della lettura di altri romanzi dello stesso genere ho realizzato che quello distopico è il genere di libri che preferisco.

Parlare di distopia significa parlare dell’opposto dell'utopia, dove con utopia intendiamo l’ideale di società giusta e perfetta. In effetti la distopia non è altro che un’utopia realizzata e degenerata. 
Quello che più mi piace di questo genere è saper leggere tra le righe. Le società distopiche raccontate sono generalmente ambientate in un futuro prossimo, e lo scopo principale dell’autore distopico è proprio quello di fare una critica alla società in modo sarcastico.

La distopia letteraria è nata tra gli anni Venti e Trenta del Novecento, che è probabilmente il secolo più duro della storia dell’umanità, epoca durante la quale si sono sviluppati e affermati i totalitarismi in Europa e soprattutto sono state combattuti i due conflitti mondiali e la successiva guerra fredda.

Ma nonostante ciò, la distopia non ha tempo. Le atrocità sono sempre state vissute nella storia dell’umanità e la nostra tendenza all’autodistruzione è qualcosa di innato. È per questo che trovo il genere distopico estremamente interessante e paurosamente attuale, perché nonostante le società distopiche siano frutto di fantasia, deformando e portando alle estreme conseguenze negative determinate situazioni, nascondono in sé il medesimo messaggio di allerta.

Ho scelto Divergent quindi, per dimostrare come un “semplice romanzo per ragazzi”, attraverso le vicende della protagonista, Tris, e della Società delle Fazioni, può farci aprire gli occhi sulla nostra società e la nostra storia, su cose che vediamo, sentiamo, viviamo tutti i giorni e ci condizionano senza che neanche noi ce ne accorgiamo.

la Notte prima degli Esami di MARIANNA: "L'Acqua che scorre, la vita che passa"



L’immagine che ho deciso di utilizzare come sfondo per il mio percorso raffigura la fontana di Puerta del Sol a Madrid. 
E’ guardando questa fontana che ho pensato alla frase: L’ACQUA CHE SCORRE LA VITA CHE PASSA. Questa frase, per me, simboleggia  una sorta di CARPE DIEM, e metaforicamente l'ho usata per parlare dello scorrere del tempo, simboleggiato in questo caso dall’acqua, che è inesorabilmente in relazione con il passare della vita. 
L’uomo ha bisogno del tempo, dipende da esso. 
Spesso si fa una corsa contro il tempo poiché è davvero poco e le cose da fare sono davvero troppe. L'obiettivo è quello di riflettere sul passare del tempo e su come le cose cambino inesorabilmente, anche se in modo graduale: “se davvero le cose cambiano inesorabilmente, perché l’uomo è sempre più concentrato su situazioni e su avvenimenti futili? Perché non inizia ad aprire gli occhi e a ‘guardare’ quello che davvero accade nel mondo?”.
A quanto pare il tempo potrà continuare a passare, ma le cose nella nostra società continueranno a non cambiare. 
Si deve sempre cogliere l’attimo, dobbiamo fare ciò che desideriamo e, anche se la società non cambia, NOI abbiamo il potere e gli strumenti per poter cambiare le cose e, quindi, per renderci e per rendere agli altri la vita migliore, anche se solo per poco “TEMPO”.

la Notte prima degli Esami di IGEA: un pensiero per noi!

Non avrei mai pensato di dirlo sul serio ma .. è stato un viaggio davvero emozionante!

In questi cinque anni ho conosciuto delle persone speciali, profonde, sincere anche nei loro difetti, i loro sbagli, le loro dimenticanze, i loro giudizi.

Ho conosciuto una seconda famiglia che mi ha accompagnato nel viaggio della mia crescita personale... chi più, chi meno, chi nel bene, chi nel male è riuscito a darmi qualcosa di unico e speciale che mi ha segnato, mi ha insegnato a credere nei miei sogni, a lottare contro il mondo per realizzarli, a lottare contro me stessa per formare la mia identità che sarà quella che a breve dovrò affrontare quando sarò fuori dalle vostre comode e calde braccia che mi hanno "cullato" durante il mio percorso ... mi hanno fatto sentire a casa anche nel disagio, mi hanno fatto imparare a sbagliare nella stessa misura in cui mi hanno insegnato a cercare di riparare ai miei tanti errori, con le mie forze ed assumendomi le mie responsabilità.

Questa 'Big family' che si chiama VBL mi ha dato più di quanto potessi immaginare, più di quanto potessi aspettarmi ... come sempre e soprattutto nelle situazioni più difficili questa grande squadra è riuscita ad alzare l'asticella del mio piccolo ed acerbo bagaglio personale d'esperienza, imparando ogni giorno e sempre di più qualcosa di nuovo: la speranza di un futuro migliore, la caparbia ricerca dei propri sogni, la lotta contro le difficoltà, la presa di coscienza di sé, l'assumersi le proprie responsabilità, la temerarietà che serve per riuscire a realizzarsi in ogni minima cosa, il lavoro di squadra, la convivenza , la gentilezza, l'umiltà, l'amore ed una lista interminabile di tanti altri valori che forse il solo e proprio nucleo familiare non è capace di donarci.

Insomma, 'Big family' vi urlo: GRAZIE A TUTTI con il cuore!

Condividiamo gli ultimi sforzi insieme con la gioia di affrontare un nuovo mondo al di fuori di questo nostro piccolo nucleo e la tristezza di separare le nostre strade dopo così tanto tempo passato insieme, ma di voi sicuramente porterò nel mio cuore i ricordi migliori in assoluto della mia vita ... voglio bene a tutti!


Igea

martedì 30 giugno 2015

La Notte prima degli esami di MARIKA: "MoNstrum"





"Idiota è chi è diverso chi pensa e parla diversamente dalla maggioranza"
A. Gramsci





Nell’etimologia greca e latina, il termine “monstrum” indica essenzialmente un segno divino, un prodigio. Il mostro, nel significato originario, è l'apparire, il manifestarsi, il mostrarsi improvviso di qualcosa di straordinario, di divino, che viola la natura e che è un ammonimento e un avvertimento per l'uomo. Il presagio suscita un senso di meraviglia e di stupore e può essere fasto o nefasto, generando perciò rassicurazione o spavento. L'evoluzione semantica delle parole τέρας e monstrum rivela che il solo significato che sussiste sempre è "ciò che esce dal comune", l'"essere straordinario", specialmente nel significato di essere anormale, contrario alle leggi della natura.

Si tratta di una tematica cara alla letteratura di tutti i tempi, sia italiana che straniera, e porta con sé un altro importante tema: il diverso.

Per parlare di “diverso” dovremmo almeno partire da ciò che invece non lo è, ciò che viene generalmente definito “normale”: innanzitutto dovremmo renderci conto che essere normali vuol dire semplicemente stare nella norma, ovvero aderire al comportamento più comune, non certo, per questo, naturale, “giusto” o lecito. Se, ad esempio, vivessimo in una società in cui vige la pena di morte, tale condanna sarebbe “normale”, e diverso sarebbe considerato chi invece ne vorrebbe l’abolizione.
Spesso, invece, finiamo per fraintendere ciò che è normale come qualcosa di corretto, giusto, “naturale”, relazionandoci con le con le persone e le situazioni che si discostano da questa normalità in modo diffidente e a volte anche aggressivo.
Il bisogno di sentirci sicuri è uno dei punti fondamentali per un essere umano, e già Maslow aveva elaborato una teoria dei bisogni, negli anni Settanta, in cui poneva alla base delle necessità umane il senso di sicurezza e protezione. Ciò che è diverso, coloro che escono fuori dalla norma, rappresenta un’incognita, qualcosa di sconosciuto e, quindi, potenzialmente pericoloso. Il nostro bisogno di sicurezza ci spinge a diffidare e ci porta anche a temere ciò che non conosciamo e comprendiamo. Questo significa che la paura del “diverso” è un istinto naturale dell’uomo?

Non credo proprio: significa invece che è una reazione alla mancanza di conoscenza verso ciò che abbiamo di fronte a ciò che esce dagli schemi consolidati, alla routine, al comportamento delle maggioranze. L’ignoranza è ciò che alimenta la paura: temiamo le cose che non consociamo perché potrebbero farci soffrire. L'uomo tende a interpretare tutto quanto non rientra nella propria esperienza diretta o nel cerchio rassicurante della tribù come un pericolo, una minaccia anche mortale. Di qui i suoi atteggiamenti aggressivi, per cui il diverso e l'altro vengono intesi come un nemico potenziale o reale.

Come dimostra "Frankenstein" di Mary Shelley non tutto quello che è diverso è potenzialmente pericoloso. Per cui il pregiudizio può cadere in errore, e precludere l'incontro, che a mio avviso è anche arricchimento.
Se vogliamo cambiare in positivo, se vogliamo migliorare noi stessi e anche la società che ci circonda, dobbiamo iniziare con il cercare di capire e comprendere tutte le sue sfumature, tutte le particolarità; imparando a conoscere, e rispettare, verrà meno la paura. Madame Curie diceva “non c’è niente di cui aver paura, c’è solo da capire”, e sono convinta che se iniziassimo a guardare alle novità, qualsiasi esse siano, con un’apertura mentale volta a comprendere e accettare, potremo costruire una società migliore e pacifica per tutti noi.

La Notte prima degli esami di IMMA: "Viva la Vida ... una inesauribile sete di vita"



Il tema centrale del mio percorso si concentra intorno alla figura di una pittrice messicana, Frida Kahlonata Coyoacàn nel 1907, pochi anni prima della prima grande rivoluzione moderna in Messico nel 1910.




L'obiettivo del lavoro è quello di cogliere l'essenza di una società dilaniata dal dolore, attraverso la figura di questa donna il cui corpo, analogamente, fu  devastato dalle sofferenze fisiche in conseguenza di un gravissimo incidente. Vi è infatti una sorta di parallelismo tra le vicende della vita personale di Frida Kahlo e gli avvenimenti che il Messico visse quando lei era ancora una bambina, ignara di ciò che stava realmente accadendo nel suo paese. 
Nelle immagini di repertorio Frida  si presenta come un’affascinante dea azteca, che ci offre  attraverso i suoi dipinti un quadro chiaro non solo della sua vita ma anche del suo Paese, evidenziando il forte legame con le tradizioni e il folklore popolare.
Così come il popolo messicano è diviso in due dalla rivoluzione, allo stesso modo l’ anima di Frida è stata scissa in due parti dal dolore fisico, causato dall’ incidente, e da quello sentimentale, derivato dalla tormentata storia d’ amore  con il grande muralista Diego Rivera, che diede il suo contributo alla rivoluzione raccontandola attraverso i suoi celebri murales
Non c’è dunque da meravigliarsi se nonostante fosse nata qualche anno prima dello scoppio della rivoluzione Messicana, preferisse far risalire la sua data di nascita al 1910  dichiarandosi "figlia della rivoluzione", voleva quindi che la sua vita iniziasse con il Messico moderno. 

 Frida però non rappresenta solo l’immagine negativa di una società distrutta dalla sofferenza,  incarna l’umorismo e l’allegria, elementi tipici del popolo messicano e, soprattutto, dà voce ad un’inesauribile sete di vita che si presenta per la prima volta proprio quando tutto sembrava finire, cioè il giorno del suo tragico incidente, nel quale, il pullman su cui viaggiava fu distrutto e un corrimano le attraversò il corpo, condannandola a sofferenze infinite. Quel giorno stesso, quando un uomo le estrasse il corrimano dal corpo, lei diede un urlo atroce ... in quel momento stava urlando al mondo il suo VIVA LA VIDA.



Quella di Frida era una bellezza disarmante che forse non tutti riescono a comprendere a primo impatto, neanche attraverso i suoi autoritratti che sembrano rappresentare una donna  triste e sofferente, dall’ aspetto che lascia a desiderare, solo un’attenta analisi dei suoi dipinti riesce a rivelarci la sua autentica bellezza e la sua abilità nel trasformare il dolore in opere d’arte, in un secolo che è stato lo scenario di atrocità contro l’umanità. 
Con le sue opere è stata capace di dar vita ad una nuova concezione di bellezza che si identifica con la conoscenza di sé, dando un volto a uomini e donne che vivevano in un mondo in cui solo ciò che è oggettivamente bello meritava di essere guardato.

Notte prima degli Esami




Ci siamo quasi ... questo lungo viaggio durato 5 anni sta per giungere al capolinea.
Prima di lasciarci abbiamo deciso di salutarvi condividendo con voi la nostra 'Notte prima degli Esami".
Riflessioni, saluti, immagini, nozioni, stralci di percorsi animeranno queste ultime notti insonni fino alla data fatidica dell'8 luglio!




martedì 10 marzo 2015

Espero alegre la salida y espero no volver jamás



Il mio gruppo ha avuto un inizio un po’ traballante col progetto CLIL. Abbiamo ascoltato poco la consegna e di conseguenza, non sapendo bene come affrontare il lavoro, “abbiamo lavorato in modo rigido”!


Per l'esposizione vi suggerisco di preparare un’introduzione generale sulle forme di arte nate con la rivoluzione e poi potrete fare riferimento all'artista che ciascuno di voi pensa di approfondire. “

Da come si può capire dalle parole dell'insegnante (qui riportate per non indurci nuove distrazioni!) il progetto doveva riguardare artisti e forme d’arte durante la Rivoluzione. Quale rivoluzione? 
¡La mexicana! 




Tra gli artisti che potevamo scegliere di approfondire c’erano Diego Rivera, Frida Kahlo e David Siqueiros, tutti personaggi validissimi, sicuramente, ma personalmente non potevo che scegliere quello femminile. Qualcuno potrebbe ridere di ciò, ma credo che venga dato poco, anzi pochissimo spazio a quella che è la figura femminile nella pittura, nella letteratura e in altre forme d’espressione artistica. Non che non ci siano, assolutamente. E’ solo che spesso, a scuola, si tende a prendere maggiormente in considerazione “lo scrittore”, “il pittore”, “il poeta” e credo che questa scelta, anche se in modo insignificante e 'minuscolo', sia una rivalsa per questa donna, alla cui arte ho sempre guardato con occhio curioso, ma 'ignorante'!


Frida è stata una donna dalla complessa personalità, che è entrata nella leggenda sia come artista che come modello della femminilità, la cui visione del mondo è tanto potente quanto la forza con la quale riuscì a superare, sia il grave incidente che a diciotto anni le devastò il corpo, sia la tempestosa relazione con Diego Rivera, l’artista messicano più importante del XX secolo.

Carlos Fuentes, scrittore messicano dalla fama universale, nonché autore di “Gringo viejo”, “Los años con Laura Díaz” e “El espejo enterrado”, nell’introduzione del diario di Frida che abbiamo avuto la possibilità di sfogliare, ricorda come la sua figura maestosa fosse “anticipata dal rumore dei gioielli e dal silenzio magnetico”. La definisce Madre terra messicana, una Cleopatra sfiorita che nascondeva il suo corpo torturato, stretto nel busto ortopedico, sotto il lusso spettacolare de “los trajes tradicionales mexicanos” vale a dire sotto i vestiti tipici del suo “mestizaje”.

E’ possibile fare un paragone tra il corpo di Frida e le profonde divisioni all’interno del Messico rivoluzionario: un paese nato dalle sue stesse ferite, un paese smembrato, umiliato, un paese che tramite la Rivoluzione aveva ricordato a se stesso tutto ciò che aveva dimenticato del suo passato, e tutto ciò che voleva essere.


Se Diego Rivera dipinge la parte epica della rivoluzione, soprattutto quella che guarda alla sua storia e al suo passato, l’equivalente interno di questa rottura sanguinosa è qualcosa che appartiene di più a Frida: una donna distrutta, stracciata all'interno del suo corpo, proprio come il Messico è strappato nella sua pelle esteriore.


Frida nasce a Coyoacán nel 1907 nella celebre Casa Azul, dove morì. In Messico si dice che nascere e morire nella stessa casa è una benedizione, ma a quanto pare per lei non fu così. Frida era solita posticipare l’anno di nascita al 1910 per poter dire di essere nata nel pieno della rivoluzione messicana. Già questo sottolinea il suo carattere singolare. Studiò presso la “Scuola nazionale preparatoria” dove conobbe Diego al quale era stato commissionato un murales. Furono questi gli anni della sua ribellione giovanile, gli anni de Los Cachuchas.

Tutto era destinato a cambiare il 17 settembre 1925: “... e la città che Frida tanto amava e tanto temeva l’attaccò senza pietà. Nel settembre del 1925 un tram si scontrò contro il veicolo nel quale viaggiava, le ruppe la colonna vertebrale, il collo, le costole, il bacino. La sua gamba malata soffriva ora undici fratture. La sua spalla sinistra rimase per sempre slogata e uno dei suoi piedi irreparabilmente lesionato. Un passamano le penetrò la spalla e le uscì per la vagina. Allo stesso tempo l’impatto dell’auto lasciò Frida insanguinata e nuda però coperta di oro. Spogliata dei vestiti, il corpo nudo di Frida ricevette come un fiume fantastico la pioggia di polvere d’oro che un artigiano portava a lavoro. Fu possibile per questa donna dipingersi come nel poema di Yeats << una terribile bellezza, totalmente trasformata>>" (C. Fuentes)




Fu questo uno dei momenti fondamentali, sebbene terribile, della vita dell’artista poiché fu proprio a partire dall’incidente che iniziò a dedicarsi a quella che sarebbe stata di lì a poco una delle produzioni artistiche che meglio rappresentano il cuore del suo paese. E’ possibile costruire la biografia di Frida e del suo tempo,  partendo dai suoi quadri poiché ad ogni evento corrisponde una o più composizioni, come quelle prodotte negli anni “statunitensi” o dedicate al partito comunista messicano con il quale ebbe un rapporto di odio e amore.



 


A causa dell’incidente dovette subire numerosissimi interventi chirurgici che si sommavano al dolore procurato dai vari tradimenti da parte di Diego, che, sì, la voleva tipicamente messicana e pretendeva che Frida avesse rapporti con donne “per essere il suo unico uomo”, ma allo stesso tempo la umiliava intrecciando una storia d’amore con la sua stessa sorella.

Nel 1953 ci fu la sua ultima esposizione, organizzata al Palacio de Bellas Artes de la Ciudad de México alla quale, per gravissimi problemi di salute, l'artita arrivò in ambulanza scatenando la sorpresa e l’ammirazione di tutti i partecipanti. L’anno seguente, invece, subì l’amputazione alla gamba che le risultò fatale. Nel luglio dello stesso anno Frida ci lasciava, non prima di aver terminato l’ultima opera dalla quale abbiamo preso spunto per il nome della nostra presentazione: Sandías «Viva la Vida»

E’ proprio questo ciò che più abbiamo apprezzato di Frida: una farfalla che apre le sue ali solo per essere punta una e un’altra volta, una e un’altra volta fino a che il dolore e la fine del dolore coincidano con la morte ... una figura che, nonostante tutto tutto il dolore e la sofferenza, ci lascia come strenue sostenitrice della vita stessa.


 


"Espero alegre la salida y espero no volver jamás ... FRIDA"

luca b.



lunedì 2 marzo 2015

"Los años con Laura Díaz" de Carlo Fuentes

La Revolución, en esencia un paso del no ser, o del ser enajenado, al ser para sí, fue el acto mismo de ese descubrimiento [el de México por sí mismo]: los actos coinciden con las palabras y la apariencia con el rostro: la máscara cae y todos los colores, voces y cuerpos de México brillan con su existencia real. Un país dividido en compartimientos estancados entra en contacto con sí mismo. (Fuentes, 1972)

La búsqueda de la identidad que se expresa con una voz autónoma es el hilo conductor de toda la novela, y la Laura madura del final es el resultado de una experiencia de vida compleja, enriquecida por el contacto fértil y variado con los protagonistas de este gran retablo de la Mexicanidad.

 


Un tema central es la relación de la protagonista con la Historia, que es una presencia constante en la novela. Laura es una testigo de los principales acontecimientos que cambian su país a lo largo del siglo XX. Además, conoce también la situación europea antes de la Segunda Guerra Mundial, la Guerra Civil Española, los exiliados de esta guerra y años más tarde la víctimas del macartismo en los Estados Unidos de los años cincuenta. Los horizontes de la novela son entonces bastante amplios, aunque el eje del atención es siempre México. El contacto con la Historia le ofrece a la protagonista ocasiones constantes para interpretar la realidad, creando un bagaje de impresiones que será determinante para el desarrollo de su propia actividad artística. Además, la presencia de la Historia en la novela permite entender la relación de especularidad que se establece entre Laura y México, ya que evidencia el paralelismo entre la evolución personal de la protagonista y la colectiva de su país.

La Revolución es el gran acontecimiento que influencia todo el siglo, después del cual hay que definir y renegociar la fisionomía del país, proceso que se desarrolla entre muchos errores y dudas. La historia de Laura, con su dificultades en encontrar una forma, es una representación simbólica de lo que ocurre contemporáneamente en México: Laura tiene que encontrar su posición en la sociedad, pero la sociedad misma tiene que encontrar una manera de definirse. También la estrecha relación con los orígenes y con el pasado que caracteriza la vida de Laura es una reproducción de la atención al pasado propia de México, donde la historia se refleja en el mito y este último se convierte en un punto de referencia constante. 

lunedì 23 febbraio 2015

What about Mexico?


La Libertad es el derecho de hacer lo que ordena la justicia. Todo niño mexicano conoce la definición de la paz y parece comprender lo que ésta significa también. Pero en Estados Unidos dicen: los mexicanos no quieren la paz. Eso es una mentira necia. ¡Que se tomen los norteamericanos el trabajo de hacer una encuesta en el ejército maderista, preguntando si los soldados quieren la paz o no…! La gente está cansada de la guerra”.
[Reed, John. México insurgente. Parte I, capítulo II].


   

John Reed tiene apenas 26 años cuando es enviado a México como corresponsal de guerra de la revista Metropolitan de Nueva York. Pocos años antes, en 1910, sale de la Universidad de Harvard con un grado en poesía, su otro gran amor junto al periodismo. Pero el viaje que realiza por varios de los principales países de Europa –Inglaterra, Francia y España- en 1910 parece haberle causado un gran aburrimiento y no se traduce, como esperaban sus maestros de universidad, en escritos literarios o periodísticos de tipo alguno. El México revolucionario de la segunda década del siglo XX era el escenario ideal para que aflorara, en toda su creatividad y prosa imaginativa, el periodismo literario de John Reed. 

La obra de Reed, nos muestra el mundo a través de lo que el periodista observa, escucha y siente de manera inmediata. Ahora bien, ¿no dicen acaso los manuales de periodismo que el yo, el nosotros y el nuestro están prohibidos en la labor informativa, salvo que se trate de un artículo de opinión? Mas, con la narrativa de John Reed esta regla básica se viene abajo por completo. Y es que él se las juega por completo con sus personajes; escribe, vive y hace periodismo en las circunstancias reales -y casi siempre extremas- en que acontecen las luchas revolucionarias de la gente pobre. Por eso, no hay en Reed ninguna pose fingida. El yo no es utilizado por él como un vehículo de la introspección personal y narcisista, sino como una técnica periodística efectiva con la cual mostrar los distintos matices y coloraciones del mundo exterior; un mundo exterior que es a la vez contradictorio, violento y esperanzador. Pura y simplemente: para escribir México insurgente en primera persona, antes hay que tener el valor y arrojo personal de John Reed, tomar los riesgos que él se toma. Su narrativa en primera persona revela, como dice el poema de Neruda, un hombre invisible, un ser humano especial que canta con todos sus hermanos. 
México fue una gran escuela para él, porque le dio la oportunidad de crear poesía allí donde otras personas veían caos y anarquía. O, para decirlo en sus propias palabras, allí en México, entre soldados harapientos y campesinos pobres, jugándosela a todo dar, Reed aprendió también a “ver la belleza oculta del mundo visible…”.

Qué viva Mexico!


Escribir sobre América Latina, para América Latina, ser testigo de América Latina en la acción o en el lenguaje significa ya, significará cada vez más, un hecho revolucionario. Nuestras sociedades no quieren testigos. No quieren críticos. Y cada escritor, como cada revolucionario, es de algún modo eso: un hombre que ve, escucha, imagina y dice: un hombre que niega que vivimos en el mejor de los mundos.   (C. Fuentes, 1972)




La primera de las grandes revoluciones sociales del siglo tuvo lugar en la América Latina. 

México estaba bajo el control del dictador Porfirio Díaz y aunque su política económica favoreció el progreso comercial y la producción mexicana, los beneficios se repartían entre los miembros de una oligarquía excluyente.

Para 1910, el 85% de la tierra mexicana le pertenecía a menos del 1% de la población. Los campesinos se quedaron sin tierras y sin trabajo y sufrían a diario los efectos del hambre y la pobreza.

Luego de mas de 30 años en el poder, Díaz hizo un simulacro de apertura democrática y llamó a elecciones ese año. Surgió un oponente poderoso, Francisco Madero, que simpatizaba con la causa de la reforma agraria y contaba con el apoyo del campesinado. Madero fue encarcelado y Díaz obtuvo una victoria electoral por la vía del fraude.

Las protestas y la insurrección campesina no le permitieron al viejo dictador mantenerse en el poder y optó por exiliarse a Francia. Las esperanzas que muchos mexicanos tenían en Madero se vieron frustradas por su incapacidad para mantener el orden. Su asesinato en 1913 desató un torrente de pasiones y cruentas pugnas por el poder que se extendieron por varios años.

De los ejércitos campesinos surgieron grandes líderes militares como Francisco "Pancho" Villa y Emiliano Zapata. En 1917 con el reformista Carranza se redactó una nueva constitución que promulgaba el control público de los recursos naturales, la educación gratuita y la formación de uniones laborales. México recuperó su estabilidad en 1920 con el gobierno de Alvaro Obregón.

Historia escrita por sí misma: la autobiografía como fuente histórica



La vida ha comenzado a ser un tema para la discusión metodológica y los textos de investigación.




En la interpretación contemporanea, las historias son contadas por los individuos para definir su presencia y su mundo social.

Compartir la historia de uno es una forma de sacar hacia fuera ciertas imposiciones y valdaciones de experiencia personal; este es el hecho central del proceso de recuperación: "Las biografías pueden ayudar a otras personas a ver sus vidas más claramente o diferentemente y quizás ser una inspiración para ayudar a cambiar a otros sus vidas". (Atkinson 1998: 26)

Entonces, la reconstrucción biográfica es un juego de intersubjetividades que emerge esencialmente de la persona y de su testimonio, ya sea oral u escrito. Memoria, identidad y sociabilidad son igualmente dispositivos desde los cuales hay que entender las potencialidades y limitaciones de los documentos orales y materiales de vida, fuentes sobre las que se fundamenta la investigación biográfica.

Básicamente podemos encontrarnos con dos aplicaciones del método biográfico: las historias de vida como estudios de caso, o bien la técnica de los relatos biográficos múltiples.
En el primer caso nos encontramos ante «un relato autobiográfico, obtenido por el investigador mediante entrevistas sucesivas en las que el objetivo es mostrar el testimonio subjetivo de una persona, en el que se recojan tanto los acontecimientos como las valoraciones que dicha persona hace de su propia existencia». En esta modalidad el investigador es únicamente un introductor de la obra, que retoca y matiza la presentación final del relato tras ordenar la información obtenida en las prolongadas sesiones con el informante.
En ciencias sociales se utilizan también con frecuencia los «relatos biográficos múltiples» como si fuese una forma de encuesta en la que las decisiones muestrales pueden asentarse en criterios de representatividad junto a los de significatividad (por ejemplo, utilizando tipologías de sujetos a partir de variables preestablecidas). Se distinguen dos modalidades de este tipo de relatos, los «paralelos» y los «cruzados». Mientras que los relatos de vida paralelos se refieren a trayectorias de vida que han  transcurrido sin converger ni generar vínculos entre sí, los segundos aluden a las «historias de vida cruzadas de varias personas de un mismo entorno, bien sean familiares, vecinos de un barrio, o compañeros de una institución, para explicarnos a «varias voces» una misma historia».

La investigación biográfica es una descripción fenomenológica que exige de cuatro habilidades procedimentales en el investigador: observar, escuchar, comparar y escribir. 
Estos planteamientos metodológicos no alcanzan su significado pleno si no es en relación con el objeto de estudio al que va a ser aplicado: la persona y los documentos de vida por ella generados o facilitados.

La fuente primordial de los relatos de vida es «la persona» y el testimonio que ésta proporciona, como individualidad única y sujeto histórico. En ella confluyen dimensiones psicológicas y contextuales cuya interacción genera una manera peculiar de construir y narrar su experiencia pasada.
Hasta hace unas décadas, la oralidad era la fuente de expresión por excelencia. A principios de siglo empezaron a utilizarse en EE.UU. las «historias de vida» ante dos circunstancias específicas: la emigración masiva procedente de Europa y los problemas de adaptación que ello supuso y la presión sobre la población india, ya en declive, del rápido proceso de modernización del país. Estos trabajos estaban guiados más que nada por una preocupación de salvaguarda cultural, «recoger mientras fuera tiempo todo lo que subsistiera del pasado». Esta preocupación dió paso después a la inquietud metodológica, influidos los autores por el desarrollo y auge del método cuantitativo y el llamado «mito de la cientificidad sociológica», que D. Bertaux denuncia proponiendo una sociología de «rostro humano» que rechace la consideración de los «hechos sociales como cosas». 


Il Novecento: dalla vita alla Storia

Il mio obiettivo è la storia biografica: se dovessi riassumere in pochissime righe quello che ho fatto in questi anni, forse potrei dire che ho raccolto pensieri per popolare il passato
(Sabina Loriga, La piccola x. Dalla biografia alla storia, ed. Sellerio, 2012).

Nel corso del XIX e del XX secolo, molti storici hanno coltivato il sogno di scrivere una storia impersonale. Per alcuni decenni, in nome della scienza, la parola d’ordine è stata: uniformare i fenomeni sociali, eliminare le differenze, gli scarti, le idiosincrasie.

Tuttavia, e per fortuna, una minoranza di autori hanno cercato di salvare la dimensione individuale della storia.

Quel tempo ha dato vita a una riflessione estremamente ricca e complessa sulla «piccola x». Tale espressione è di Johann Gustav Droysen, che, nel 1863, scrive che, se si chiama A il genio individuale, cioè tutto ciò che un singolo uomo è, possiede e fa, allora questa A consta di a + x, dove a comprende tutto ciò che gli viene da circostanze esterne, dal suo paese, dal suo popolo, dalla sua epoca, etc. e x il suo contributo personale, l’opera della sua libera volontà.

Prima e dopo Droysen, altri autori esplorano la piccola x: degli storici (oltre a Thomas Carlyle, alcuni tedeschi, da Wilhelm von Humboldt a Friedrich Meinecke), uno storico dell’arte (Jakob Burckhardt), un filosofo (Wilhelm Dilthey) e uno scrittore (Leone Tolstoj).


Nella Prefazione del suo libro, l'autrice afferma: "Dalla fine del secolo XVIII, gli storici hanno accantonato le azioni e le sofferenze dei singoli, per cercare di scoprire il processo invisibile della storia universale. Le ragioni che li hanno indotti a trascurare i singoli esseri umani, per passare da una storia plurale (die Geschichten) a una storia unica (die Geschichte) sono svariate. Senza dubbio, hanno pesato due difficili sorprese della modernità: da un lato, la scoperta che anche la natura è mortale e, dall’altro, la progressiva perdita di fiducia nella capacità dei nostri sensi di cogliere la verità (dai tempi di Copernico, la scienza non fa altro che mostrarci i limiti dell’osservazione diretta). Ma, accanto a queste trasformazioni profonde, hanno forse influito alcune vicissitudini intellettuali meno tragiche, anche più banali. Innanzitutto, la speranza di dare alle scienze umane basi scientifiche stabili e oggettive. Si è trattato di un immenso sforzo di conoscenza, che ha indotto le discipline più disparate (dalla demografia alla psicologia, dalla storia alla sociologia) a uniformare i fenomeni, spesso eliminando le differenze, gli scarti, le idiosincrasie.

Il vizio di veder tutto simile e uguale ha avuto conseguenze gravi. Hannah Arendt ne parla in una lettera a Karl Jaspers del 4 marzo 1951. Ritornando, ancora una volta, sulle tragedie politiche e sociali che hanno impregnato il XX secolo, scrive che il pensiero moderno ha perduto il gusto della diversità: “Che cosa sia oggi il male nella sua dimensione reale non lo so, ma mi sembra che esso in certo modo abbia a che fare con [questo fenomeno]: la riduzione di uomini in quanto uomini a esseri assolutamente superflui”. Poi precisa: “in questo pasticcio la filosofia non è del tutto senza colpa. Naturalmente, non nel senso che Hitler abbia qualcosa a che fare con Platone (…), ma piuttosto nel senso che questa filosofia occidentale non ha mai avuto un concetto puro della politica, né poteva averne uno, perché ha sempre parlato di necessità, dell’Uomo, e si è occupata della pluralità solo incidentalmente”.
Questa perdita di pluralità riguarda, oltre la filosofia, anche la storia. Negli ultimi duecento anni, i nostri libri di storia si sono riempiti di racconti senza soggetto: parlano di potenze, nazioni, popoli, alleanze, gruppi di interessi, ma solo molto raramente di esseri umani. Come ha intuito uno scrittore particolarmente attento al passato, Hans Magnus Enzensberger, la lingua della storia ha cominciato a nascondere gli individui dietro categorie impersonali: “la storia viene esibita senza soggetto, le persone di cui essa è la storia compaiono solo come figure accessorie, come sfondo scenico, come massa oscura nel fondo del quadro: ‘i disoccupati’, si dice, ‘gli imprenditori’” ... persino i cosiddetti makers of history appaiono privi di vita: “la sorte degli altri – quelli del cui destino non si fa parola – si vendica sulla loro sorte: essi sono irrigiditi come manichini e somigliano alle figure di legno che nei dipinti di De Chirico prendono il posto degli uomini”.
Il prezzo etico e politico di questa desertificazione del passato è molto elevato. Nel momento in cui scartiamo le motivazioni personali, “Alessandro, Cesare, Attila, Maometto, Cromwell, Hitler sono come inondazioni o terremoti, albe, oceani o montagne; possiamo ammirarli o temerli, benedirli o maledirli, ma criticare o magnificare le loro gesta è in definitiva tanto ragionevole quanto rivolgere la predica a un albero”. Queste parole di Isaiah Berlin, scritte nel 1953, sono estremamente importanti e attuali. Negli ultimi anni la storiografia cosiddetta postmoderna, di ispirazione nietzschiana, è spesso stata rimproverata di avere minato l’idea di verità storica e, quindi, abolito la possibilità di valutare il passato. Ma il pericolo di relativismo, che corrode il principio di responsabilità individuale, è insito anche in una lettura impersonale della storia, che descrive la realtà attraverso anonimi rapporti di potere. Berlin ci ricorda che la speranza di far parlare le cose stesse ci spinge a proporre un’immagine eccessivamente necessaria della realtà".